FROM:
Ho cenato per la prima volta al ristorante “il canto” di Siena nei primi giorni di Ottobre 2007. Molto in ritardo, avrei dovuto venirci prima. La cucina dello chef Paolo Lopriore mi ha subito conquistato. E’ una cucina che utilizza un linguaggio nuovo, molto contemporaneo, piu’ diretto, essenziale e raffinato nello stile , nella forma, nella presentazione dei piatti e ovviamente nel gusto. Il suo scopo é quello di mantenere e rispettare i sapori delle materie che lavora in maniera molto personale e diretta. Il primo piatto mi ha lasciato subito di stucco: insalata di alghe, erbe aromatiche, radici e fiori. E’ sulla copertina della prestigiosa rivista Apicius (numero 1 edizione italiana, nov. 2006) e piu’ precisamente a pag.98 si possono vedere uno a uno i 14 ingredienti: dall’ alga nori al crescione, dal cerfoglio all’ assenzio passando per il ravanello e l’ acetosella ecc. Mi viene dunque servito questo piatto composto di poche foglie di erbe ed insalatine selvatiche senza alcuna traccia di condimento e subito mi sono stupito (in negativo) di come si potesse cominciare una cena con qualche erba non condita. Ho dunque iniziato ad assagiarne qualcuna con le mani ed all’ improvviso mi sono reso conto di quanto mi stessi sbagliando! Sotto alcune di queste poche, povere e nude foglie era nascosto a volte un pezzetto di zenzero candito, in altri punti c’era invece una punta di wasabi o di senape cinese. Un’ erba verde scuro dall’ aroma molto marcato (penso fosse la ruta) dava il ritmo a tutto il piatto. Tutti questi fattori mi hanno aperto gli occhi su quanto grande potesse essere il mondo di sapori presente in un piatto di poche erbe non condite. Non dunque un’ insalata fine a sé stessa, ma una sensibilita’ fuori dal comune per combinare questi vegetali cosi’ simili e diversi gli uni dagli altri. “Una cannonata…una natura tremendamente fresca…” é il commento di Apicius. Natura senza compromessi, freschezza, territorio… mondo. Un piatto che mi ha ancora piu’ avvicinato e convinto sulla “check salad” di Davide Scabin. Secondo piatto: impepata di cozze. Qui si capisce bene quello che lo chef ha in mente quando parla di evoluzione della tradizione usando l’ immaginazione. Innanzi tutto bellissimo da vedere (piatto di design, guardate la foto di Bob Noto sul libro “6”): un’ ottima cozza poco cotta rinchiusa in una forma rotonda bianca (acqua di cottura dell’ impepata legata con agar agar e battuta alla frusta per renderla aerea, poi adagiata nello stampino rotondo con la cozza). Che finezza di gusto, con la dolcezza della cozza controbilanciata dalla spezia non agressiva. Una nuova forma per una ricetta molto buona e casereccia ma difficile da mangiare senza sporcarsi le mani e la bocca per aprire le cozze una a una e usarne i gusci per raccogliere il sugo da succhiare con il risucchio. Puo’ essere proprio questo il bello dell’ impepata di cozze, ma nella vita di oggigiorno siamo sicuri di poterci sempre ed in ogni occasione mettere il tovagliolo attorno al collo per evitare di sbrodolarci tutto sulla camicia? Ben venga un nuovo modo di cucinare questo piatto, senza ripudiare l’originale. Anche perché Paolo ha conferito una raffinatezza alla cozza che nella ricetta tradizionale non c’é: sublimazione dell’ impepata di cozze.
Mi sono reso subito conto che molti piatti appaiono innocui, semplici e corretti, ma una volta messi in bocca e trangugiati nascondono un elemento, un gusto forte che esplode in bocca con tutta la sua pienezza e purezza. E’ il caso del filetto di orata su carciofi e loro coulis. Buono ho pensato, ma assaggiato il coulis mi sono ricreduto: é ottenuto con le foglie esterne ed i gambi del carciofo. Risultato: gusto di carciofo al cento per cento in tutta la sua aromaticita’, the dark side of the artichoke! Porcini, tabacco e nepitella (foto1) e’ un piatto di grande sottigliezza mentale/intellettuale. Come vedete il piatto presenta dei funghi crudi a fette, qualche fogliolina verde, tutto “colorato” di bianco da una “rugiada” di panna fredda spruzzata sul piatto. Sotto i funghi c’é qulache goccia di emulsione di tabacco di sigaro toscano. Di nuovo, alla dolcezza del fungo crudo si contrappone la forza speziata e persistente del tabacco (mangiato, non respirato: é molto diverso). Questo e’ un inno alla Toscana, ad alcuni dei suoi prodotti piu’ rappresentativi: il bosco, l’ autunno, la caccia, il sigaro toscano. In una parola sola: l’osteria! Lo chef non é toscano, ma qui ci dimostra quanto “senta” questa regione, quanto la rispetti, quanto bene la conosca e quanto la ami. Ora il piatto che veramente mi ha mandato fuori di cotenna: monocromo di gambero (foto2). Qui il piatto non é praticamente cucinato: gamberi crudi tra due fogli di carta trasparente leggermente battuti ed appiattiti, fiori di limone, polpa di limone, polpa di limone salata, di limone verde, un granello di sale, menta, cumino in polvere sciolto in poca acqua (fondamentale, da il ritmo a tutto il piatto), succo di carota centrifugata (foto3). Gli elementi vengono disposti separati in piccole quantita’ sul piatto, si adagiano sopra i gamberi e si copre col succo di carota. Indimenticabile! Ogni boccone ha un gusto diverso. In poche forchettate si compie il giro di tutto mediterraneo! Qui si capisce quando RGS parla di minimalismo riferendosi a Lopriore. Economia di mezzi, “less is more”, sobrieta’ estrema, quasi poverta’. Ma solo la presentazione e la costruzione del piatto sono minimaliste, si crea una nuova forma artistica e d’ espressione portatrice di un messaggio forte. Altro piatto veramente impressionante: tagliolini al pesto (foto4). Come vedete sono tagliolini verdi tiepidi conditi con poco olio e un pezzetto di parmigiano. Metto in bocca: la quintessenza del pesto! L’impasto fatto con basilico e foglie/aghi di cipresso (piante della tenuta del ristorante, sono centrifugate lentamente per ottenerne gli olii essenziali) é balsamico. Filologicamente molto corretto: olio, basilico, parmigiano ed al posto dei pinoli (frutto del pino)…il pino stesso (essendo il cipresso dello stesso ordine di piante, pinales). Questo piatto e sopratutto quello dei funghi e del tabacco mi fanno pensare ad una forma di epressionismo nel senso che sono una forma di soggettivita’ (quella del cuoco) che tende a deformare e a riplasmare il piatto-la realta’ per suscitare una reazione emozionale nel commensale, non accontentandosi lo chef di rendere una ricetta secondo la logica accademica, ma sottoponendola al suo stato d’ animo. A questo aggiungo quella che per me è una delle doti principali dello chef: la capacita’ di sintetizzare la realta’ nel piatto con pochi, essenziali ma significativi e profondi tratti. Prima del dessert mi hanno servito una spuma di scorza di limone con polvere di liquirizia: che rasoiata! Mi é stata ripulita/rinfrescata la bocca dai piatti salati con questa spuma di limone senza compromessi, senza zucchero, panna o altro che potesse ammorbidirne la schiettezza. Piatto forte si, limone al cento e uno per cento.
Mi piace sottolineare ancora l’ introduzione dello chef alla sua conferenza del congresso LMG 2007 (il cui tema era tecnologia/immaginazione) quando ha detto di come fosse quasi superfluo parlare di tecnologia dopo tre giorni di congresso: la tecnologia é dappertutto, la usiamo tutti i giorni in cucina, per strada, in casa ecc. E’ l’immaginazione il fattore che ti fa sviluppare la tecnologia. Questa viene adattata al proprio lavoro, si adatta a cio’ che vedi e che senti. Se c’é immaginazione la tecnologia non fa paura é al tuo servizio (come ad esempio l’ automobile, che poi alcuni la utilizzino per portare i bambini a scuola o la fidanzata a Portofino ed altri invece per fare delle rapine questo non è colpa mia né tanto meno di un bravo chef come Lopriore). Detto questo, egli spesso parte dalla tradizione e con l’ immaginazione la ricrea, la evolve (vedi impepata di cozze o pasta al pesto).
Nell’ introduzione del libro di Lopriore edito da Bibliotheca Culinaria, lo chef racconta dell’ esperienza col suo maestro Gualtiero Marchesi, di come con lui si parlasse piuttosto del mondo che del piatto in sé stesso. Da qui la convinzione che la sua cucina (e quella dei suoi colleghi allievi di Marchesi) sia una cucina europea perché europea é la cultura che la ispira.
Condivido questo modo di lavorare e di pensare. Ho apprezzato il linguaggio contemporaneo,diretto, vocato al gusto, alla qualita’, alla precisione, alla concretezza ed alla raffinatezza della cucina. Penso quindi, che Paolo Lopriore sia diventato (assieme a pochi suoi colleghi) un classico della cucina del nostro paese.
Lascia un commento