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UN LIVELLO CULTURALE PIÚ ALTO IN ENOLOGIA: PHILIPPE PACALET.
Domenica mattina 25 agosto stavo godendomi la colazione al café Odessa di Montparnasse quando nell’ultima pagina di Le Monde mi imbatto nell’ultimo articolo uscito su Philippe Pacalet dal titolo: ‘L’uomo che vuole seminare semi di uva’. (leggilo qui)
Letto di un fiato, giungo per la seconda volta quest’anno alla stessa conclusione: questo é il tipo di discussione che mi piace sentire sul vino. Questa é vera informazione. Questo é un livello culturale piú alto.
In Café Odessa staring at Edgard Quinet’s metro station but….thinking about Beaune.
Ad aprile 2013 era uscita una bellissima intervista a Philippe su La Revue Des Vins De France. (leggilo qui)
Erano espressi dei concetti per me chiarissimi da anni, concetti basilari per cultura dei grandi vini, e purtroppo per alcuni (forse troppi) concetti rivoluzionari e radicali.
Dopo l’introduzione in cui parla della sua storia, di suo zio e suo maestro Marcel Lapierre (allievo di Jules Chauvet), Pacalet chiarisce in maniera tecnica e molto lucida la vinificazione con raspo, la sua scelta di utilizzare pochissimi ‘futs’ nuovi (portano troppa ‘zuccherosita’, mi spaventa questa suadenza artificiale, snatura lo spirito del pinot), parla molto dei problemi legati alla riproduzione della vigna, continua difendendo l’uso dei lieviti indigeni (é essenziale quando si cerca l’effetto ‘terroir’). Prosegue con il suo pensiero sull’agricoltura biodinamica: ‘ho imparato molto stando vicino a dei vignaioli biodinamici ma non amo le religioni, il vino é il contrario della religione’. Conclude alla grande dicendo che in Borgogna ci sono troppi imprenditori che non hanno il gusto del vino, a molti uomini manca la voglia di fare vino. ‘Non si fa vino solo per venderlo e per avere dei bei voti. Bisogna avere passione, saper prendere dei rischi, amarlo e berlo’.
IMMENSO!!!!
L’articolo di J.P. Géné apparso su Le Monde é veramente interessante ed affronta un tema di cui non sento mai parlare: la degenerazione avanzata del vitigno francese.
Philippe sposta la discussione in una nuova direzione. Il problema non sarebbe da ricercare nel suolo, bensì nella vigna stessa.
I monaci in Borgogna hanno sempre seminato i semi di uva che davano delle piante selezionate e moltiplicate per fecondazione. C’era un rimescolamento permanente. Questo processo é stato fermato nel 1789 con la Rivoluzione. I monasteri sono stati svuotati ed é stata così fermata la riproduzione sessuata della vigna. Il materiale vegetale del vitigno francese data di quell’epoca: da quel momento la vigna si é riprodotta in maniera asessuata, essenzialmente per margotta.
Eternamente creata dal suo stesso sangue, la vigna si ritrova indebolita un secolo più tardi quando arrivano le malattie (oidio 1850, peronospora 1878, fillossera 1863). La conseguenza che ne derivò fu l’utilizzo del portainnesto, la sua generalizzazione e la fine della vigna a piede franco. La riproduzione asessuata é continuata con l’utilizzo dei cloni e delle selezioni massali che per Philippe non sono altro che un clonaggio diluito: ‘Selezionando le qualità di una pianta, facciamo in modo che si concentrino i suoi difetti’, che con l’età provocano la degenerazione, grande sensibilità alle malattie (combattute alla grande con la chimica).
Pierre Overnoy e Robert Plageoles l’hanno confermato: la degenerazione della vigna é realtà.
Che fare? Bisogna ringiovanire il materiale vegetale. Per raggiungere questo obbiettivo dobbiamo tornare ad una riproduzione sessuata che permette il rimescolamento dei genomi e la creazione di nuovi lignaggi: si perderebbero alcuni caratteri del vitigno per ridargli vitalità e resistenza alle malattie.
Due le vie: seminare i semi di uva come facevano i monaci (sistema naturale ma lungo e fastidioso) o fare appello alle tecniche della genetica (più rapido ma più rischioso).
É un lavoro enorme che prevede uno sforzo titanico e di cui neanche noi stessi vedremo i risultati, ma dobbiamo farlo perché abbiamo accumulato molto ritardo.
Direi un eccellente tema di lavoro e discussione lanciato dal bravo Philippe!
Monica et Philippe Pacalet.
I was enjoying my breakfast on Sunday morning, august the 25th, at Café Odessa in Montparnasse when on Le Monde last page I see an article about Philippe Pacalet: ‘The man that wants to plant grapes seeds’. (read it here)
For the second time this year I think that this is the kind of discussions I wanna hear about wine. This is real information. It is definitely an higher cultural level.
In Café Odessa staring at Edgard Quinet’s metro station but….thinking about Beaune.
In La Revue Des Vins De France April’s 2013 issue I read a very interesting interview to Philippe. (read it here)
He expressed concepts that have been obvious for me since a long time, fundamental for great wines culture, but unfortunately these same concepts can be seen as revolutionary and radical for most people.
The introduction is about his personal story, his uncle and guide Marcel Lapierre (who had been working and studying with Jules Chauvet), then Pacalet talks about wine making with stems, then about his choice to use very few new barriques (‘it brings too much sugariness, that artificial smoothness scares me, it distorts pinot’s spirit’), furthermore he talks about the problems related to grapevine reproduction, then again about the importance of working with natural yeasts (essential if you want to get the ‘terroir’ effect). Now his own idea about biodynamic agriculture: ‘I’ve learned a lot being at the side of biodynamic vignerons but I don’t like religions, wine is the contrary of religion’.
The interview’s conclusion is just fantastic: in Bourgogne we have too many entrepreneurs that don’t have taste for wine, too many people don’t wish to make wine. ‘You don’t make wine just to sell it and to have a good mark. You must have passion, you must take risks, you must love wine and drink it yourself’.
TERRIFIC!!!!
J.P. Géné’s article on Le Monde is truly stimulating and is about something I hardly heard about: French grape vine degeneration.
Philippe brings the discussion to a new direction. The problem is not in the ground but in the grape vine itself.
In Bourgogne monks used to plant grape seeds to get selected grape vines multiplied by fertilization. There would be constant mixing. This process ended with the Revolution in 1789. With empty monasteries grape vine sexual reproduction has been stopped. French grape vine vegetal material is from that period: since then grape vine has been reproduced by a sexless way, mainly by layering.
Eternally created from its own blood, grape vine got weaker after a century when the diseases appeared (powdery mildew 1850, downy mildew 1878, phylloxera 1863). Consequently rootstock appeared, then its generalization and the end of the ingrafted grape vine. Sexless reproduction continued with the use of clones and of the ‘selection massale’, which Philippe considers some kind of lighter cloning: ‘Selecting the grape vine qualities we concentrate its defects’, that with age would cause degeneration, high sensitivity to diseases (fought with tons of chemicals).
Both Pierre Overnoy and Robert Plageoles confirmed that grape vine’s degeneration is definitely real.
What should we do then? We must rejuvenate our vegetal material. For that we should do a sexual reproduction that would allow the mixing of genomes and the creation of new generations: we would eventually loose some characters of the grape variety in order to bring more vitality e strength against diseases.
Two ways: plant grape seeds as the monks used to do (natural way but long and annoying) or we should use genetics techniques (quicker but riskier).
It’s a huge job, a gigantic effort and we probably won’t see the end of it but we must do it because it’s getting really too late.
I’d say an excellent topic of discussion introduced by the brilliant Philippe!
Monica et Philippe Pacalet.
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